GRAPHIC DESIGN / Enrico Pusceddu.it

GRAPHIC DESIGN Work in progress

L’ESPERIENZA DEL GRAPHIC DESIGN

L’esperienza del Graphic Design, del Visualizer sviluppata, partendo dai fatidici anni 80, è un percorso che via via è maturato nel tempo, tra cambi epocali e innovazioni tecniche e tecnologiche.

Ho sempre considerato nel fare grafica, a 360°, l’aperura del suo lessico alle impollinazioni dei linguaggi, con un’attenzione particolare agli sviluppi estetici – sociali – comunicativi, in stretto rapporto e connubio alle evoluzioni tecniche e tecnologiche.

Agli inizi del mio percorso la sua peculiarità prevalentemente era rappresentata dal combinare: tipografia, illustrazione, fotografia e stampa a fini comunicativi, persuasivi, informativi o educativi.

Gran parte del suo sviluppo metodologico si definiva dall’articolazione di tecniche, strumenti e mezzi.

Ancora oggi, l’aspetto fisico-sensoriale di: tempere, acrilici, aerografo, pantoni, pennelli, curvilinee, normografo, tipometro, retini e trasferibili (lettering e altri elementi grafici della letraset) mi riportano indietro nel tempo, un tuffo a ritroso nella poetica e consapevolezza del fare. Così come l’uso sapiente del disegno e delle tecniche indissolubilmente legati  alla conoscenza dei mezzi tecnici, materiali e metodologie di stampa.

In molti casi mi è stata posta questa domanda.

Come ha approcciato e affrontato la grafica nel suo divenire?

Fin dagli esordi, alcune sue componenti attuative, come manifesti e l’advertising (in alcune specifiche declinazioni) hanno stimolato la mia immaginazione e creatività.

L’impostazione del lavoro si è sempre affidata al metodo, alla disciplina e alla contraddizione della regola, per non rimanere ingabbiato da quest’ultima.

Penso e reputo che sia fondamentale conoscere le regole, ma ricerca e sperimentazione mi hanno portato a ripensarle per non rimanere intrappolato in schemi mentali e strutturali precostituiti.

Negli anni 80, gradualmente, in seguito alla lenta ma progressiva digitalizzazione della fotografia e dell’immagine, apportata dal computer, il linguaggio grafico inizia ad assumere un nuovo aspetto estetico.

Con l’informatizzazione, il processo di progettazione viene dematerializzato e assume via via una forma elettronica digitale.

Il lavoro al computer ha eliminato via via molte professionalità e attività che erano state parte integrante ed essenziale per chi volesse svolgere professionalmente questo mestiere, lasciatemelo chiamare con un pizzico di amarcord, del Grafico (Graphic Designer).

La componente analogica, fisica, esperenziale del mestiere ha avuto una rapida mutazione. Il computer incrementò ad una velocità vorticosa le finalità dell’opera e la rapidità con la quale doveva essere prodotta.

E man mano che l’accessibilità della tecnologia si allargava a macchia d’olio, escono fuori i neofiti…  usando un’accezione romanesca  (e che ce vo’).  

Grazie ad un computer, si pensava, e in alcuni casi ancora pensano, che smanettando al PC si può fare la grafica anche da soli.

A tal proposito in molti casi ne abbiamo visti i risultati, stereotipi visivi adatti ad ogni scopo.

A partire dal 1984 inizia la sua commercializzazione il mitico computer Apple Macintosh (abbreviato come Mac)  prodotto dalla Apple Inc.

I primi modelli facevano uso del sistema operativo MacOS. Basati prima su processori M68k seguiti dai PowerPC, poi sull’architettura x86 e dal 2020 su Apple Silicon.

Non tutti sanno che l’origine del nome è legato a una popolare varietà di mela (“apple” in inglese), la McIntosh. Un’alternativa economica e domestica al Lisa, un avanzato microcomputer aziendale, il cui sviluppo è stato assorbito per la linea Macintosh.

Ma i costi agli inizi per un giovane e non solo, erano proibitivi.

Il memorare fa sempre bene.

Il suo sistema cambiò il principio d’approccio, in molti casi, al fare progettuale. Tutto ruotava attorno a finestre, icone, mouse e menù a tendina.

Nuove modalità di work in progress furono introdotte strada facendo in magazine e pubblicità, nello specifico riguardo allo stile, innescando a ritmi forsennati quel processo di obsolescenza del prodotto e manufatto, tanto caro al Capitalismo.

All’inizio la componente economica dovuta ai costi come già detto, ha limitato la sua frenetica e convulsa prolificazione.

Oggi pensare di fare grafica senza un computer sembra una cosa pressoché folle e proibitiva e qui mi ricollego all’importanza, usando un gergo particolare, del manico.

Man mano ci si è occupati più della conoscenza e dell’uso iper-veloce del software, che dell’idea e della sua evoluzione concettuale tra “pensare e fare“.

In molti avranno da commentare e da ridire, ma va bene così… “il mondo è bello perché è vario“ fatelo pure. Il confronto democratico e civile serve anche a questo.

Ad ognuno la sua scelta, per me, l’importante è continuare a pensare che creatività e software sono due cose diverse, sicuramente complementari ma uno non può fare a meno dell’altro.

Partendo da questi concetti chiave, il mio apporto ai diversificati linguaggi della grafica è stato un servizio destinato a ragioni progettuali con diverse finalità e scopi.

La connessione fra conoscenza e azione ne ha determinato il pensiero come creatore di aspetti da sottoporre al vaglio dell’esperienza e della prassi, in merito alla sua utilità progettuale, comunicativa ed espressiva, senza discriminazioni di sorta tra piccola o grande produzione,  così come il dire “NO“ a commissioni e situazioni proposte, che ho reputato non pertinenti al mio modo di pensare e di vedere.

“Libero sono nato e libero voglio rimanere sino alla fine“.

È vero…  senza soldi è difficile vivere, ma la componente economica e autoreferenziale non è mai stata il mio imperativo.

Preferisco il “logos“ tra pensiero, parola e ragione che nell’esperienza si concreta, si tramuta in fare esperenziale consapevole ed etico.

Quello che ho sempre cercato è l’apertura del cuore, la relazione, il rispetto e la conoscenza. Se si concretizzano bene… altrimenti con garbo avanti un altro, alla prossima…

 Enrico Pusceddu

L’esperienza del Graphic Design, del Visualizer sviluppata, partendo dai fatidici anni 80, è un percorso che via via è maturato nel tempo, tra cambi epocali e innovazioni tecniche e tecnologiche.

Ho sempre considerato nel fare grafica, a 360°, l’aperura del suo lessico alle impollinazioni dei linguaggi, con un’attenzione particolare agli sviluppi estetici – sociali – comunicativi, in stretto rapporto e connubio alle evoluzioni tecniche e tecnologiche.

Agli inizi del mio percorso la sua peculiarità prevalentemente era rappresentata dal combinare: tipografia, illustrazione, fotografia e stampa a fini comunicativi, persuasivi, informativi o educativi.

Gran parte del suo sviluppo metodologico si definiva dall’articolazione di tecniche, strumenti e mezzi.

Ancora oggi, l’aspetto fisico-sensoriale di: tempere, acrilici, aerografo, pantoni, pennelli, curvilinee, normografo, tipometro, retini e trasferibili (lettering e altri elementi grafici della letraset) mi riportano indietro nel tempo, un tuffo a ritroso nella poetica e consapevolezza del fare. Così come l’uso sapiente del disegno e delle tecniche indissolubilmente legati  alla conoscenza dei mezzi tecnici, materiali e metodologie di stampa.

In molti casi mi è stata posta questa domanda.

Come ha approcciato e affrontato la grafica nel suo divenire?

Fin dagli esordi, alcune sue componenti attuative, come manifesti e l’advertising (in alcune specifiche declinazioni) hanno stimolato la mia immaginazione e creatività.

L’impostazione del lavoro si è sempre affidata al metodo, alla disciplina e alla contraddizione della regola, per non rimanere ingabbiato da quest’ultima.

Penso e reputo che sia fondamentale conoscere le regole, ma ricerca e sperimentazione mi hanno portato a ripensarle per non rimanere intrappolato in schemi mentali e strutturali precostituiti.

Negli anni 80, gradualmente, in seguito alla lenta ma progressiva digitalizzazione della fotografia e dell’immagine, apportata dal computer, il linguaggio grafico inizia ad assumere un nuovo aspetto estetico.

Con l’informatizzazione, il processo di progettazione viene dematerializzato e assume via via una forma elettronica digitale.

Il lavoro al computer ha eliminato via via molte professionalità e attività che erano state parte integrante ed essenziale per chi volesse svolgere professionalmente questo mestiere, lasciatemelo chiamare con un pizzico di amarcord, del Grafico (Graphic Designer).

La componente analogica, fisica, esperenziale del mestiere ha avuto una rapida mutazione. Il computer incrementò ad una velocità vorticosa le finalità dell’opera e la rapidità con la quale doveva essere prodotta.

E man mano che l’accessibilità della tecnologia si allargava a macchia d’olio, escono fuori i neofiti…  usando un’accezione romanesca  (e che ce vo’).  

Grazie ad un computer, si pensava, e in alcuni casi ancora pensano, che smanettando al PC si può fare la grafica anche da soli.

A tal proposito in molti casi ne abbiamo visti i risultati, stereotipi visivi adatti ad ogni scopo.

A partire dal 1984 inizia la sua commercializzazione il mitico computer Apple Macintosh (abbreviato come Mac)  prodotto dalla Apple Inc.

I primi modelli facevano uso del sistema operativo MacOS. Basati prima su processori M68k seguiti dai PowerPC, poi sull’architettura x86 e dal 2020 su Apple Silicon.

Non tutti sanno che l’origine del nome è legato a una popolare varietà di mela (“apple” in inglese), la McIntosh. Un’alternativa economica e domestica al Lisa, un avanzato microcomputer aziendale, il cui sviluppo è stato assorbito per la linea Macintosh.

Ma i costi agli inizi per un giovane e non solo, erano proibitivi.

Il memorare fa sempre bene.

Il suo sistema cambiò il principio d’approccio, in molti casi, al fare progettuale. Tutto ruotava attorno a finestre, icone, mouse e menù a tendina.

Nuove modalità di work in progress furono introdotte strada facendo in magazine e pubblicità, nello specifico riguardo allo stile, innescando a ritmi forsennati quel processo di obsolescenza del prodotto e manufatto, tanto caro al Capitalismo.

All’inizio la componente economica dovuta ai costi come già detto, ha limitato la sua frenetica e convulsa prolificazione.

Oggi pensare di fare grafica senza un computer sembra una cosa pressoché folle e proibitiva e qui mi ricollego all’importanza, usando un gergo particolare, del manico.

Man mano ci si è occupati più della conoscenza e dell’uso iper-veloce del software, che dell’idea e della sua evoluzione concettuale tra “pensare e fare“.

In molti avranno da commentare e da ridire, ma va bene così… “il mondo è bello perché è vario“ fatelo pure. Il confronto democratico e civile serve anche a questo.

Ad ognuno la sua scelta, per me, l’importante è continuare a pensare che creatività e software sono due cose diverse, sicuramente complementari ma uno non può fare a meno dell’altro.

Partendo da questi concetti chiave, il mio apporto ai diversificati linguaggi della grafica è stato un servizio destinato a ragioni progettuali con diverse finalità e scopi.

La connessione fra conoscenza e azione ne ha determinato il pensiero come creatore di aspetti da sottoporre al vaglio dell’esperienza e della prassi, in merito alla sua utilità progettuale, comunicativa ed espressiva, senza discriminazioni di sorta tra piccola o grande produzione,  così come il dire “NO“ a commissioni e situazioni proposte, che ho reputato non pertinenti al mio modo di pensare e di vedere.

“Libero sono nato e libero voglio rimanere sino alla fine“.

È vero…  senza soldi è difficile vivere, ma la componente economica e autoreferenziale non è mai stata il mio imperativo.

Preferisco il “logos“ tra pensiero, parola e ragione che nell’esperienza si concreta, si tramuta in fare esperenziale consapevole ed etico.

Quello che ho sempre cercato è l’apertura del cuore, la relazione, il rispetto e la conoscenza. Se si concretizzano bene… altrimenti con garbo avanti un altro, alla prossima…

 Enrico Pusceddu

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